Le teorie economiche classiche si basano sulla razionalità dell’individuo quando si trova in una situazione informativa trasparente. L’homo economicus è colui che compie scelte basate unicamente sull’interesse e sulla razionalità. Ma è proprio così? Davvero gli investitori non compiono mai scelte basate su una qualche forma di pregiudizio o emotività?
La finanza comportamentale è la disciplina che ribalta la prospettiva della razionalità, individuando la psicologia come centrale nella determinazione delle scelte finanziarie.
Un esempio banale: un bene o un servizio sono valutati dall’acquirente sulla base del prezzo e della qualità. Un prezzo più alto indicherebbe una qualità maggiore. Ecco allora che aumentando il prezzo si aumenta la qualità percepita, ma questo non comporta automaticamente un aumento della effettiva qualità del prodotto o servizio.
Un altro esempio: ci sono situazioni di crisi delle borse in cui gli investitori, presi dal panico, vendono le loro azioni per la paura che il loro valore scenda ulteriormente. Valutano dunque che per non perdere tutto, sia meglio vendere tutto anche se non risulta conveniente. Ed ecco spiegata come nasce una bolla finanziaria: molti investitori si buttano su un determinato strumento in base a considerazioni razionali. Poi le premesse cambiano fino a distorcersi mentre gli investitori restano concentrati solo sulla dinamica di prezzo, e i media generalisti fanno il resto, alimentando una psicologia collettiva che diventa sempre meno razionale.
Al contrario, molti grandi investitori hanno realizzato enormi profitti sfoderando pazienza e nervi saldi. Una tra le citazioni più note di Buffett, non a caso, è
“Il mercato azionario è semplice. Basta acquistare per una cifra inferiore al loro valore intrinseco quote di una grande azienda gestita da dirigenti integerrimi e capaci, e quindi conservare quelle quote per sempre."
E questo è stato uno tra i segreti del suo successo. Uno dei suoi più grandi affari fu infatti acquistare un miliardo di azioni Coca Cola nel 1988, quando questa e molte altre aziende vacillavano in borsa. La strategia fu acquistare buone aziende a buoni prezzi (e non acquistare genericamente aziende a prezzi stracciati) e l’investimento crebbe di 16 volte negli anni successivi. Le azioni non sono mai state rivendute.
E allora perché si verifica il cosiddetto effetto gregge, se è vero che la razionalità sarebbe ciò che determina le scelte dell’individuo? Secondo la finanza comportamentale molti investitori non sono esenti dalla cosiddetta all’”avversione alla perdita”. Sembra infatti che la sensazione negativa che si prova in caso di perdita economica abbia un’intensità tre volte superiore al piacere di guadagnare. Eppure è evidente un elemento di irrazionalità: infatti la rinuncia a un investimento potenzialmente profittevole può rappresentare essa stessa una perdita.
Un contributo molto interessante della finanza comportamentale è lo studio dei bias: dei modelli cioè di pensiero che, allo scopo di semplificare le decisioni, costituiscono degli errori cognitivi, cioè dei veri e propri paraocchi.
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